La migrazione di un’infrastruttura IT in cloud può essere, a ben ragione, considerata come uno dei capisaldi fondamentali della trasformazione digitale e la sua rilevanza all’interno di realtà aziendali e/o societarie sta acquisendo sempre maggiore peso. I dati da questo punto di vista parlano chiaro: solo nel 2020 il cloud computing è riuscito a generare utili per una cifra superiore ai 3 miliardi di Euro con un relativo incremento del 21% rispetto all’anno precedente. Ovvio che a sparigliare le carte in tavolo sia intervenuta anche la recente pandemia di Covid-19 la quale, però, non ha fatto altro che accelerare un processo già in atto. Si andrà ora a vedere nel dettaglio cosa sia la migrazione al cloud e perché è in grado di far ottenere i migliori risultati.
Migrare in cloud significa essenzialmente mettere in atto un processo di trasferimento in cui dati, applicazioni o elementi aziendali vari facenti parte della propria infrastruttura vengono destinati a un ambiente cloud. Ovviamente in base alla metodologia e alle dinamiche che si andranno a seguire è possibile individuare differenti tipologie di cloud migration. L’esempio certamente più comune è quello in cui il processo di migrazione avviene da un data center locale a un cloud pubblico, tuttavia esistono anche trasferimenti tra due diversi cloud (denominato Cloud to Cloud), senza poi tralasciare di menzionare il cloud migration inverso in cui i dati vengono spostati dal cloud a un data center locale (noto come Reverse Cloud).
Prima di poter passare alla fase realizzativa del processo di migrazione è opportuno, se non fondamentale, esaminare nel dettaglio la propria infrastruttura. E’ solo mediante un’attenta e profonda analisi di tutti gli elementi preesistenti che la migrazione potrà avvenire senza che ci siano sprechi inutili, perdita di risorse basilari per l’azienda, nonché un potenziale ma quanto mai probabile calo della produttività generale. Fondamentale risulta essere anche la fase di formazione laddove non ci sia una figura professionale con le adeguate competenze necessarie per attuare la migrazione, adattabilità alle nuove soluzioni proposte e plasmazione attiva del personale devono essere le priorità assolute dal punto di vista dell’aspetto umano. Dopo un’indagine preliminare si passerà alla valutazione di tutti i pro di cui sarà possibile beneficiare e i contro che potrebbero interferire nell’immediato con la continuità aziendale.
Tra i primi c’è sicuramente l’accessibilità alle risorse, la conformità normativa e burocratica e su tutti un adeguamento a un processo d’innovazione inesorabile di cui è necessario tenere il passo per evitarne di restare estromessi; per quel che riguarda i contro, invece, sarebbe sbagliato appellarli con una connotazione negativa in quanto, ad esempio, il tema che può sollevarsi sulla sicurezza dei dati può e deve diventare un’opportunità di crescita per l’azienda. Ecco quindi che sfide come la sicurezza, l’interoperabilità o la continuità del business possono diventare elementi grazie ai quali rinnovarsi ponendo le basi su un futuro radioso.
La strategia da seguire per realizzare con successo la migrazione al cloud passa attraverso 3 step ben delineati:
Come detto, le migrazioni in cloud possono assumere diverse dinamiche in base alla tipologia per cui si andrà a optare ed è necessario, ai fini della continuità aziendale, scegliere quella più congeniale alle proprie esigenze in maniera tale da ottenere i migliori risultati.In linea generale si possono individuare 3 tipizzazioni di cloud: